Michel Perloff, ricercatore, conferenziere, saggista
Già insegnante/ricercatore nella Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Marsiglia (Francia).
Professore ospite all Istituto d’Architettura di Mosca (Russia)
Professore onorario all Academia di Stato di Costruzione e di Architettura di Odessa (Ucraina)
Nella cerchia superna, dietro la pluralità delle interpretazioni possibili, resta pur sempre un ultimo segreto - e la luce dell intelletto miseramente impallidisce (KLEE, 2004)..
gni progetto sullo spazio geografico si iscrive in un « contesto ». Non meno evidente il fatto che questo contesto riguardi quello che si chiama semplicemente l’ « abitare » il mondo, diritto fondamentale dell’ Umanità. Il progetto implica dunque l’ampiezza della pre-visione; un approccio riduttivo presenta un rischio anche minimo di disturbare il nostro ambiente di vita. E tanto più che la logica del mercato tende sempre più velocemente a trasformare il tutto del mondo in oggetti sottomessi al rendimento, per cui il dominio pubblico è particoliarmente minacciato. La posta etica è considerevole. Per afferrarla dobbiamo entrare nei campi dell indescrittibile, dell informalizzabile e questo richiede l’ampliamento della nostra riflessione.
È urgente l’espressione multiforme a grande scala di un pensiero più libero, espresso con garbo, che richiami probabilmente una splosione dei generi ibridi dove magari anche si puo’ ballare con il senso (STEINER, 2011). Allora occorrerebbe dire « no » al banale, quel che un luogo significa per noi non può mai essere ridotto ai soli dati fisici o biologici (D’ANGELO, 2010). Occorre inventare un metodo in ogni situazione di progetto (MORIN, 1977).
Facciamo l’ipotesi, in una libera interpretazione, di un ricorso alle foreste (JÜNGER, 1981), un ricorso all ampiezza delle foreste in un senso concreto e metaforico. In questo approccio, avremo in mente due eremi francescani, La Verna e Monteluco. Contempliamo la foresta ed avviciniamoci e…Già m'avean trasportato i lenti passi dentro a la selva antica tanto, ch'io non potea rivedere ond'io mi 'ntrassi (DANTE). E questi passi ci portano subito nell’universo poetico e filosofico.
Facciamo dunque l’ipotesi che questo ingresso nell enigmatico sia una possibilità di apertura del nostro spirito…un ponte verso il pensiero.
Chiamiamo questa mossa immaginazione creatrice (BACHELARD, 2007). Di lei sorge la linfa dell’ irreale, dell’ inutile, condizioni della nostra libertà (HEIDEGGER, 2006).
Potremo « ballare con i luoghi della foresta » nell idea di abitare meglio il mondo, di com-prenderlo per proteggerlo. Ma…il ricorso alle foreste non è un idillio, è cosa esigente (JÜNGER, 1990).
Avremo magari una propensione all’esagerazione ma prolungando l’esagerato abbiamo qualche probabilità di scappare alle abitudini della riduzione (BACHELARD, 2007).
L’antica selva ci attrae, la foresta segreta, misteriosa. Appena ci entriamo sorgono in noi delle reminiscenze lontane…La foresta è un io prima di me, essa regna nell’ antecedente (BACHELARD, 2007), dentro di lei non abbiamo età. E allora le nostre impressioni si amplificano : la foresta, asilo della vita, svela le sue ricchezze surreali. Essa tiene in se stessa tutta l’eccedenza del mondo (JÜNGER, 1990). E sorgono le driade, ninfe della foresta. L’ « eccedenza » contiene il mito e il mito non è storia passata ; è realtà intemporale che si ripete (ibid). E la foresta per noi diventa subito sacra (BACHELARD, 2007).
Chi meglio del poeta lo potrebbe suggerire ?
L’emozione al bosco profondo si comunica (Victor Hugo, 1999). Oppure ancora, delle scure foreste druidiche sprofondano nei viola lontani. Con l’immagine del bosco profondo Victor Hugo impregna il nostro immaginario, il nostro io profondo.
La storia ci insegna che la struttura ideologica degli indo-europei conserva una certa reminiscenza nell’ inconscio dei popoli. E delle forme antiche del linguaggio si mantengono nell’ uso quotidiano : nel linguaggio il sole persegue il suo alzarsi (JÜNGER, 1997).
Gli indo-europei erano gente della foresta e nelle nostre lingue dimorano le radici di tanti nomi di alberi, o altro collegato alla foresta. Questi nomi sono stati detti allora, dunque vissuti, e, nella lingua contemporanea si dicono ancora e si vivono. In quei tempi i nomi avevano un carattere sacro !
La parola « *drys » la quercia, l’albero, è presente con le driade…i druidi. Il nome La Verna, sito dell’eremo francescano nella foresta monumentale in Toscana, verrebbe da « *werna », il pioppo.
Ma la foresta ci ha dato anche l’humus « *ghyom » e il sentiero « *sentus » che si collega al sentire. Nella foresta apriamo il sentiero e tutti i nostri sensi sono in stato di veglia.
Possiamo capire il sentiero come legame tra i luoghi. E il luogo viene da « locus » che si collega a « *lego » dire, raccogliere, legare. « Lucus » il bosco sacro suggerisce « *lego » e « *louks » la luce, « *louksna » la luna, « *lukos » la radura …La radura sarebbe il luogo della foresta dove penetra la luce. E si puo’ capire la profondità del nome Monteluco, sito dell’ eremo francescano presso Spoleto, bosco sacro nell’ epoca romana ! Il dire proverrebbe della luce ! Tutte queste parole vivevano allora nella più grande prossimità semantica e il « logos » sarebbe il raccogliere nel suo zampillo originario. E il luogo sacro degli eremi si mischia con la foresta, con il linguaggio, apre ad un altra dimensione del senso e apre ancora l’ orizzonte del nostro sentire e del nostro pensiero.
Chiudo gli occhi, sono ancora un bambino, fa notte, la foresta davanti a me scende dalla montagna, sento la presenza della moltitudine degli esseri…Rassicurarmi ? No, non è possibile, preferisco tenere la mia inquietudine, lasciare venire da me questo vortice di cose. Preferisco, al riparo, gustare la forza di questa immensa presenza che invade la mia solitudine.
E di giorno, nell’ infinità della foresta l’ansia si placa, le mille vite che frusciano non disturbano il silenzio. La luce filtra, diffusa o raggiante, i rami accarezzano o feriscono, il cammino è pesante o improvisamente leggero. Sento il mio corpo.
La foresta sta nella sua ampiezza in colui che l’ha sentita anche solo una volta. Essa dà la misura dello spazio e del tempo, fa sentire la cadenza del passo. La sua vastità si annida nello stretto ambito di ogni passo. Allora si balla con i luoghi, semplicemente camminando, evitando, esitando. E la foresta è ricezione degli spazi, qualsiasi, dal vasto al piccolo, e il nostro corpo ne è immerso.
E là ci sono luoghi per l’accogliere, per il radunarsi, per il raccogliersi, luoghi dell’ « inutile », dell’ « abitare » ; si potrebbe abitare quello che non è un luogo ? Non è il luogo uno spazio del vissuto vero, dunque dell’ intimo ? C’è sempre dell’ intimo nel luogo, nell’ abitare il luogo.
Allora, quando uno spazio è un valore - e c’è più grande valore dell’ intimità ? - esso cresce (BACHELARD, 2007). E magari si potrebbero afferrare le parole del filosofo Heidegger : la spaziosità installata dallo spazio nel cuore delle foreste è un battito… (2006). I luoghi della foresta sono spaziosi, dal più semplice tra due alberi fino alla radura. E questa spaziosità si spande in vibrazioni nell’ ampiezza della foresta. Posso abitare la nicchia dove mi porta ogni passo nello spessore della foresta. E si puo’ aumentare se stesso nell’ esperienza continua di sè (HENRY, 2002).
La foresta ci offre il legame radicale alla vita che potrebbe essere dimenticata nella banalità. Perchè la grande sorpresa delle foreste è l’incontro con se stesso… (JÜNGER, 1981). La coscienza dell’ incontro etico ci nasce e l’etica consiste a vivere il nostro legame con la vita su un modo sempre più intenso (HENRY, 2002). L’immensità è dentro di noi nella nostra solitudine e si chiama allora profondità. Essa ci permette di accogliere l’eccedenza del mondo e ci apre l’orizzonte della libertà.
Due parole prendono il loro posto, immensità e intimità e queste due parole si fondono. Perchè l’immensità è una categoria filosofica della rêverie (BACHELARD, 2007). Et la rêverie, sogno a occhi aperti, è attesa nell’ apertura del mondo. È proprio nelle rêveries che siamo degli esseri liberi (BACHELARD, 2008). L’ampiezza che accogliamo diventa evidenza, l’evidenza dell’ essere presente. E questa attesa ci mette in presenza del salutare venuto dal fruscio della ampia e profonda foresta (HEIDEGGER, 2006).
E allora il vedere che accoglie l’eremo nell’ ampiezza dell’ immensa foresta annoda nel nostro essere un legame etico ed estetico, fondamentalmente sacro, che ci apre al mondo.
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Dai miti ai luoghi la foresta è fonte d’immaginazione. Essa è ricca di possibilità per l’uomo attento ad aprire il suo campo visivo per liberarsi dei luoghi comuni e abitare meglio il mondo preservandolo.
Possiamo fare l’ipotesi che se nell’ uomo rimangono le traccie di un sapere più profondo dei luoghi comuni del tempo (JÜNGER, 1981), la parte della foresta, concretamente e metaforicamente, è molto considerevole. E il poeta ci aiuta, sempre presente per chi veglia.
Albero al centro sempre
Di tutto quello che lo circonda
Albero che gusta…
L’intera volta celeste
(RILKE, 1926)
Ogni albero della foresta gusta il mondo, ogni albero irradia, ogni albero è un essere. E l’essere che gusta è colui in attesa, aperto al mondo. Io gusto in anticipo, tutti i sensi in attesa. Possiamo riconoscere la rêverie poetica, questo irreale che simpatizza intimamente con il reale (BACHELARD, 2007).
Appunto nell’ attesa le traccie che stanno in riserva possono essere richiamate nella contemporaneità. La grandezza umana risiede nella presenza al mondo e deve essere riconquistata senza sosta. La foresta nella sua presenza ci rende presenti e permette all’uomo di attuare la sua propria libertà aprendo la libera ampiezza del pensiero. Allora siamo puro presente (HEIDEGGER, 2006).
Siamo chiamati ad essere degli eterni apprendisti, attenti alla minima cosa, che lasciano venire il mondo, che conquistano la loro libertà.
Abbiamo veramente afferrato il carattere urgente dell’ apertura alla parte misteriosa di quello che chiamiamo banalmente la comprensione del contesto geografico ? Questa parte indescrittible che precede e sicuramente condiziona ogni descrizione ? Questa parte di solito ritenuta irreale…inutile ?
La foresta regala nella sua ampiezza lo spazio dell’ accoglienza, della radura, della riserva. La radura è il luogo limitato che unifica e raduna, offrendo il ristoro del soggiorno, dell abitare.
E allora l’eremo non sarebbe l’opera d’arte che sta attuando senza sosta la foresta e nello stesso tempo la nostra libertà interna ?
E allora, quando si presenta il caso, come essere all’altezza di raccogliere l’ampiezza della foresta ?
Il ricorso alle foreste non è un idillio, non è nemenno il privilegio di un elite, ma è apertura al flusso dell’ immenso per aprirci ad un ampio pensiero.
La traduzione delle citazioni dal francese all’italiano è stata curata dell’autore.
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