France italie

Il muro ottuso. « Spazio pubblico urbano » e necessità di « differenziare all’interno della cosa » (Theodor W. Adorno).


Conferenza tenuta a Sofia, Bulgaria, in occasione dell’Ottavo Incontro del « Réseau des Ecoles d’Architecture françaises et de l’Europe Orientale », 14-19 maggio 2003. A cura di Michel Perloff, Dottore in Geografia urbana, insegnante ricercatore all’ « Ecole Nationale Supérieure d’Architecture » di Marsiglia.
Pubblicazioni sulle scale urbane, l’identità territoriale, lo spazio pubblico, la semiologia cartografica.


l presente saggio è una riflessione fondamentale sulla relazione tra valore dello spazio pubblico urbano e cittadinanza/identità. Prende spunto su un’opera alla quale ha partecipato l’autore un Italia .
Oltre alla proliferazione della pubblicità, avanza un processo di istallazione consistente e polimorfa dei muri-schermo analogici nello spazio urbano. Se vi addizioniamo la proliferazione di altri muri, schieramenti di palme nei vasi lungo le strade e sulle piazze, barriere di sicurezza, muro della cosa fissata su sé stessa nel suo design, ci possiamo interrogare sull’evoluzione della natura dello spazio pubblico urbano.
Pubblicità sofisticata, informazione pletorica, sicurezza fino all’assurdo, estetica senza etica, queste sembrano le prorità che materializzano « l’accompagnamento » nello spazio pubblico degli esseri chiamati « consumatori ».
La mercificazione dello spazio, in special modo attraverso la pubblicità, crea un malessere sensoriale. Il filosofo François Dagognet ha denunciato l’ « ingegnoso inganno di un arte messa al servizio di una trappola : favorire l’inganno, l’acquisto, i consumi » e si potrebbe aggiungere : sotto tutte le forme violente possibili. Sono manifeste le tendenze all’occultamento dello scambio tra l’uomo e il suo ambiente e quello in relazione con lo sviluppo accelerato del libero scambio delle merci e delle immagini.

L’attenzion è focalizzata sul tema giudicato da noi fondamentale della creazione di uno spazio pubblico urbano di qualità che apre al libero scambio imprevedibile e vitale dell’essere umano con il mondo reale degli altri e degli oggetti, condizione dell’apertura della sua identità.
Limitiamoci a interrogare una parete, un muro nello spazio pubblico.

Prendiamo spunto su una semplice esperienza realizzata in Italia. Il nostro approccio metterà in primo piano il ruolo fondamentale che gioca l’artista nella creazione/ricreazione dello spazio pubblico.
Il nostro saggio si articola tra arte e politica, in questo caso intimamente e necessariamente legate, facendo riferimento anche ad altre differenti discipline, quali la filosofia e la semiologia.

Aprire lo spazio pubblico significa combattere, perche quel che concerne l’organizzazione della vita collettiva è all’immagine delle lotte nell’agora greca, emana della « coscienza che si ribella », combattimento politico nel pieno senso del termine, condizione della democrazia.
D’altra parte la vocazione dell’arte è l’apertura, l’artista appartenente alla « schiera dei pensatori che partecipano alla vittoria (sensoriale) della pace » come dice François Dagognet. Vedremo qui perché è una questione di pace e in che cosa la pace ha a vedere con l’apertura.

La realizzazione è una palizzata dipinta dagli abitanti nel Comune di Savona in Italia, grazie all’iniziativa e sotto la direzione di una pittrice, Imelda Bassanello. Questa artista, specialista della dipintura su legno, è rinomata per i suoi numerosi lavori presenti nello spazio pubblico: porte dipinte in città e paesi in Italia (Genova e altri luoghi della Liguria, Torino e Milano) e altrettanto in Francia, insegne di negozi, presepi, processioni di sagome.
Le mur obtus All’origine, la palizzata circondava un cantiere fermo da anni; l’artista aveva allora mobilitato la popolazione del quartiere per decorarla con motivi della vita quotidiana, frutto della sua immaginazione. Qualche anno più tardi, alla riapertura del cantiere, ci si è posta la questione della palizzata. Su richiesta dell’artista con l’appoggio degli abitanti, l’autorizzazione di rivestire con la palizzata un muro di sostegno in calcestruzzo ad una rotatoria è stata ottenuta. Questo passaggio da una collocazione ad un’altra, creazione comunitaria dell’artista con gli abitanti, può essere considerata come una sorta di promozione della palizzata e delle persone stesse, una promozione della rotatoria, un segno di autoidentificazione del quartiere.
Le mur obtus Secondo la formula di Roland Barthes, questo muro di cemento aveva un significato aggressivo, senso ovvio. Aveva anche un senso ottuso “contemporaneamente testardo e sfuggente, levigato e scappato”, un senso infatti « poetico », rannicchiandosi nella « capacità simbolica » della forma ottusa e della materia. L’artista ha rivelato questo senso ottuso rivestendo parzialmente il muro con la palizzata, aprendolo, offrendolo allo sguardo infinito dei bambini della scuola contigua, di tutta la popolazione, locale e di passaggio. Precisiamo che ci troviamo in prossimità di un santuario religioso. A questo si somma il fatto che l’angolo ottuso del muro è visibile a distanza e si trasforma in un forte punto di riferimento.

Le mur obtus Nonostante lo scopo di questo saggio non sia di natura estetica, prendiamo subito il rischio di affermare che l’opera è bella, poiché “il bello è giustamente quello che ci rende felici”, secondo l’espressione del filosofo Ludwig Wittgenstein. Siamo a scala umana, c’è una storia umana dipinta su dei travi di legno che scandiscono la vita quotidiana lungo la strada, includendo i cartelli stradali, semplice, vera, il semplice essendo « l’impronta della verità ». Qui etica ed estetica si confondono a pieno. La palizzata si spiega, sposando il muro che poggia sulla collina, abito sulla pelle, sul corpo, e dona ad una semplice rotatoria un aspetto vivace, ospitale. In questo caso è possibile parlare di un soggetto dagli aspetti variopinti, del quale carattere non alienato tende a ammansire lo spazio al contrario della pubblicità e a favorire così la contemplazione, la libera coscienza, senza alcun impedimento. Rimandiamo a dopo il tema della pace.
Le mur obtus Il muro-palizzata è diventato un gesto, senza potere, che si accontenta di mostrare.
Cosa ha cercato l’artista se non il rappacificamento tra il “Neutro”, secondo l’espressione di Roland Barthes? Questo Neutro inteso come “diminuizione della superficie del contatto del soggetto con l’arroganza del mondo e non con il mondo, l’affetto, l’amore”. Il Neutro è questa pace che autorizza l’apertura al mondo, l’apertura agli altri che si riconoscono nello stesso sentimento, fattore d’identificazione. Si tratta veramente, secondo noi, di un’opera nello spazio pubblico che contribuisce a creare lo spazio pubblico.
Riferendoci a Kenneth Frampton, bisogna distinguere tra l’opera e il lavoro. L’opera sarà questa parte di elementi disegnati e dei monumenti che strutturano la città, il lavoro, invece, corrisponde alla produzione anonima che occupa gli interstizi. L’esempio indicato non sarebbe un ibrido, che dimostra che non possiamo accontentarci di categorizzazioni sommarie ?
Questa azione creativa, inventiva, opera a carattere anonimo, inserendosi in uno spazio urbano aggressivo e aprendosi alla sua neutralizzazione, neutralizzazione del linguaggio simbolico dello spazio, ha permesso nello stesso modo l’apertura a un’espressione politica minimale, ma reale, permettendo l’incremento dell’ identità per il gruppo e l’individuo: agire nell’interesse della città e riconoscersi nella città.
Attraverso l’impulso dell’artista, questo animale indomato, secondo Wittgenstein, la popolazione ha creato, si è imposta, ha ottenuto l’autorizzazione e un aiuto minimo degli eletti del quartiere. Il risultato è un dono all’intera popolazione, locale e di passaggio, un dono allo spazio, un dono al comune, un’azione politica, opera che ci rende tutti un po’ più protagonisti, un po’ più cittadini. Come allora non insistere sul carattere fragile di questa opera nella logica del suo carattere anonimo? Fragile perché esibita senza protezione, non riconosciuta, non rivendicata esplicitamente dal Potere, ovvero il Comune, esposta all’invecchiamento prematuro, alle violenza involontarie o criminale della strada. E’ comprensibile che la forza di apertura del Neutro, della pace, sia predisposto ad attirare la violenza dell’arroganza sotto tutte le sue forme, l’opera esibita diventa essa stessa terreno di lotta politica per la sua difesa, segno di resistenza.
Sottolineiamo, dunque, questo paradosso apparente: un conflitto artistico e politico ha prodotto l’appacificamento dello spazio pubblico e ha assoldato allo stesso tempo un processo di lotta per la perseverazione di questa pace, per la memoria, aprendo la possibilità di un’auto-fondazione permanente della comunità locale, affermazione della sua identità.
Come qualificare questo modo di azione a carattere spontaneo? Gilles Deleuze ha scritto: “niente è bello, niente è amoroso, niente è politico, salvo gli steli sotterranei e le radici aeree, l’erbaccia e il rizoma”. Non abbiamo in questo caso l’emergenza dello stelo di un rizoma, di un sistema straniero nella sua natura alla struttura di un potere gerarchico e tuttavia essenziale per la vita democratica, o semplicemente per la vita? Questa emergenza è quella del fantastico potere creatore al quale fanno appello le persone da quando diventano cittadini. C’è stato il bisogno della concomitanza di circostanze straordinarie perché il fenomeno avvenisse: il carattere senza rilevanza del luogo, la relativa debolezza del potere locale dotato di pochi mezzi, la volontà dell’artista e l’entusiasmo degli abitanti. Da questo incontro è stato inventato un luogo, il luogo esiste. Questo dimostra, tra tante manifestazioni simili, che l’intervento sullo spazio pubblico può assumere svariate forme, infinite; molteplici forme colorate, insidiandosi tra il grande progetto costoso, monumentale e il vandalismo sotto tutti gli aspetti, particolarmente quello della pubblicità o dell’informazione.

In quel frangente quale ruolo potrebbero giocare il Potere tramite le Istituzioni? Non sarebbe di suscitare simili realizzazioni; non può che permetterle. Ma come? Meno leggi? Una riduzione dei poteri? Un autentico riconoscimento dalle Istituzioni, una volta ultimata l’opera a favore o contro tutto, è concepibile? Quali forme non alienanti potrà prendere questa riconoscenza, aprendo allora ad un ampliamento del possibile?…


Pour retourner en haut de la page

Orientation bibliographique :

  • Barthes Roland, L’aventure sémiologique, Seuil, 1985
  • Barthes Roland, L’obvie et l’obtus. Essais critiques III, Seuil, 1982
  • Barthes Roland, Le Neutre, Cours au Collège de France (1977-1978), Seuil, 2002
  • Berque Augustin, Les raisons du paysage, Hazan, 1995
  • Bertrand Pierre, Eloge de la fragilité, Liber, 2000
  • Choay Françoise et alii, Le sens de la ville, Paris, Seuil, 1972
  • Dagognet François, Les outils de la réflexion, Institut Synthélabo, 1999
  • Dagognet François, Changement de perspective, La Table Ronde, 2002
  • Fedier François, Regarder voir, Paris, Les Belles Lettres, 1995
  • Henry Michel, La barbarie, Paris, Grasset, 1987
  • Joseph Isaac, La ville sans qualités, Editions de l’Aube, 1998
  • Matossian Chakè, Espace public et représentations, Bruxelles, Editions La Part de l’Oeil, 1996
  • Morin Edgard, Science avec conscience, Paris, Seuil, 1990
  • Norberg-Schulz Christian, L’Art du lieu, Le Moniteur, 1997
  • Ricoeur Paul, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Seuil, 20OO
  • Sansot Pierre, Poétique de la ville, A. Colin, 1996
  • Toussaint Jean-Yves, Zimmermann Monique (sous la direction de), User, observer, programmer et fabriquer l’espace public, PPU Romandes 2001
  • Von Meiss Pierre, De la forme au lieu, Lausanne, Presses polytechniques romandes, 1986

© Michel Perloff - Mentions légales - Création : Marion Pruneau